Ebrei e comunità cristiane non cattoliche presenti a Piacenza
Il dialogo ecumenico a Piacenza sia per il SAE che per la Commissione Diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso ha come interlocutori della chiesa cattolica alcune realtà cristiane, di cui viene dato l’elenco con i rispettivi recapiti.
Sono assenti gli ebrei, interlocutori privilegiati per il SAE, che fonda il dialogo tra i cristiani delle diverse confessioni a partire dal dialogo con i fratelli ebrei. Nella Diocesi di Piacenza-Bobbio gli ebrei sono assenti non solo come comunità, ma anche come interlocutori singoli con cui stabilire un contatto. Eppure nella provincia di Piacenza gli ebrei in tempi non lontani erano presenti in varie località: a Monticelli d’Ongina (che fa parte della Provincia di Piacenza, ma non della Diocesi di Piacenza-Bobbio), a Cortemaggiore, a Fiorenzuola. Nei cimiteri locali di questi centri sono ancora visibili le tombe di alcuni fratelli ebrei.
Nell’ambito protestante è viva e attiva, ma notevolmente ridotta nel numero dei componenti, la chiesa valdo-metodista. E’ la comunità con cui il SAE ha iniziato il dialogo ecumenico e continua ad essere quella con cui è più facile l’intesa e la collaborazione, anche se è notevolmente cambiata la sua costituzione: sono infatti deceduti i membri storici di questa chiesa e si sono inseriti in essa membri di altre denominazioni protestanti, per lo più stranieri di varia provenienza etnico-culturale.
Da alcuni anni questa comunità condivide il tempio e i locali ad esso annessi con una comunità coreana presbiteriana, formata per lo più da musicisti e cantanti lirici, che spesso hanno partecipato anche agli incontri di preghiera interconfessionali.
Come in altre realtà italiane anche a Piacenza sono sorte diverse comunità, a volte su base etnica, evangelicali e pentecostali, per lo più di fedeli provenienti da Paesi extraeuropei, con cui non è stato ancora stabilito un dialogo né da parte del SAE, né da parte della Commissione Diocesana per l’Ecumenismo.
Una comunità protestante di lunga tradizione a Piacenza è la chiesa dei Fratelli, con cui non è mai stato possibile stabilire un contatto, dato il suo rifiuto del dialogo ecumenico.
L’immigrazione dai Paesi dell’Europa dell’Est ha fatto nascere a Piacenza ben tre comunità ortodosse: romena, moldava e macedone.
La prima comunità ortodossa ad insediarsi a Piacenza è stata quella romena, che ora conta nella diocesi più di cinquemila fedeli. Grazie anche all’intervento del SAE presso il Vescovo gli ortodossi romeni hanno potuto avere un luogo di culto: la chiesa di Santo Stefano, localizzata in Via Scalabrini, cappella esterna, molto ampia, delle Figlie di Maria SS.ma dell’ Orto (Giannelline).
Anche le comunità moldava e macedone hanno avuto dalla chiesa cattolica un luogo di culto: quella moldava la bella chiesa settecentesca di S. Eustachio, situata in Vicolo del Consiglio, recentemente restaurata con il contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano, non più officiata dalla chiesa cattolica ma destinata, nel progetto iniziale, a sede di eventi culturali; quella macedone la chiesa di S. Fermo, in Piazzetta S. Fermo, da tempo sconsacrata e raramente utilizzata per mostre.
Il SAE e la Commissione Diocesana per l’Ecumenismo hanno avuto un ruolo molto importante nel convincere la Curia a donare ai fratelli ortodossi un luogo di culto: questo è stato un gesto ecumenico molto apprezzato dalle comunità ortodosse con cui i rapporti sono senza dubbio positivi sul piano umano. Ben più difficile è il dialogo teologico e pastorale, soprattutto a causa della diversa impostazione culturale e per la difficoltà della lingua; inoltre i rapporti sono spesso limitati ai rispettivi pastori che non coinvolgono nel dialogo i loro fedeli laici.
Negli ultimi tempi, grazie a particolari iniziative di preghiera e di confronto realizzate durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, di cui diamo notizia nel settore destinato ad ARCHIVIO ATTIVITA’ (CON ALTRI), sembra stia muovendosi qualcosa, soprattutto con la comunità romena, la più numerosa, la più integrata nella cultura locale e la più aperta al dialogo.
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