Sessione SAE 2016 : reportage da Assisi
Assisi, 24-30 luglio 2016: presso la Domus Pacis, a pochi passi dalla basilica di Santa Maria degli Angeli, si svolge la 53esima Sessione del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche). Si tratta di un appuntamento annuale molto importante per i membri di questa associazione impegnata nell’ecumenismo: un tempo di formazione, un’esperienza condivisa, fatta di ascolto della Parola e di meditazione, di approfondimenti in gruppo, di studio, di liturgia.
La settimana vede la presenza di circa 250 persone provenienti da tutte le parti d’Italia: cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e qualche musulmano. In pochissimo tempo si costruisce un ottimo clima; i sorrisi dei vecchi e nuovi amici, le strette di mano, la felicità di incontrarsi fanno percepire un desiderio forte di vivere momenti di dialogo, di comunione in una fase in cui tutto evolve rapidamente e alle persone di fede è chiesta una adeguata capacità di lettura dei segni dei tempi.
Da Piacenza è presente un piccolo gruppo formato da tre membri del SAE locale, un seminarista del Collegio Alberoni (che usufruisce della borsa di studio offerta, come avviene da diversi anni, dal gruppo locale) e un’amica ortodossa rumena invitata ad animare un momento di preghiera.
Poco dopo gli arrivi entriamo nello spirito del Convegno, accolti dai membri del Comitato Esecutivo, che ci presentano a grandi linee il tema della settimana e il modo in cui verrà declinato: “Quello che abbiamo veduto e udito noi l'annunciamo (1 Gv. 1,3) Tradizione, riforma e profezia nelle chiese”.
Il tema, che verrà affrontato nel corso di un biennio, vuole offrire l’occasione per riflettere sul comune impegno della trasmissione del vangelo ed è di grande attualità se si pensa ad alcuni eventi che coinvolgono il mondo cristiano: per i cattolici il Giubileo della Misericordia, per i fratelli ortodossi la celebrazione del Sinodo atteso da tanto tempo, per l’ambito protestante la preparazione della celebrazione del 500° anniversario della Riforma di Lutero (2017).
La trasmissione della fede di generazione in generazione
L’indomani si inizia con alcune testimonianze sulla trasmissione della fede all’interno dell’ebraismo (il SAE, infatti, è un’associazione interconfessionale di laici impegnati per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano). Le storie narrate penetrano nel cuore e nella mente; i riferimenti personali (in particolare alle persecuzioni razziali, da Bruno Segre definite il momento in cui ha preso coscienza della propria identità) suscitano intense emozioni; si cerca con Daniel Vogelmann di cogliere i vari “modi” di vivere l’appartenenza all’ebraismo; si fa tesoro di quanto detto, a proposito della memoria, da una giovane ebrea (Micol Anticoli) che tra l’altro afferma: “avere la consapevolezza di condividere dei valori e delle tradizioni con una intera comunità è qualcosa che fa sentire le persone meno sole laddove le differenze sono ancora considerate un limite e non una risorsa” .
La trasmissione della fede viene affrontata in una seconda tavola rotonda dal titolo “Di generazione in generazione: esperienze cristiane”. Questa volta ascoltiamo la voce delle Chiese affidata a Claudio Paravati, metodista, direttore della rivista mensile Confronti, a Dragoslav Trifunovic, ortodosso serbo, segretario del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, e al biblista cattolico Daniele Fortuna. Anche in questo confronto emergono spunti autobiografici: l’incidenza dell’educazione religiosa nell’ambito familiare, la realtà della fede che si fa storia quando si scopre che la Parola è per noi e ci accompagna.
Con il biblista Fortuna riflettiamo sull’esperienza di Gesù-uomo plasmato nella fede giudaica e, successivamente, sulla sua morte e risurrezione che apportano una luce nuova e una più completa intelligenza delle cose (DV 19) al punto che i discepoli possono trasmettere non solo la fede di Gesù ma anche quella in Gesù di generazione in generazione. La missione della Chiesa, che sta nel perpetuare e trasmettere soprattutto la sua esperienza di comunione trinitaria e il volto misericordioso di Dio, deve, nell’annuncio, rispettare le varie culture e le diverse modalità di accoglienza della Parola evangelica. Ci viene suggerito l’esempio della veglia pasquale con l’accensione delle candele per indicare come la trasmissione della fede avviene da credente a credente in modo più semplice di quanto si pensi. E l'ecumenismo può essere la via privilegiata per comprendere una fede viva, che intuisce la costruzione di un mondo unito nella diversità, grazie all’azione dello Spirito Santo senza il quale “il Vangelo è lettera morta e la missione solo una propaganda” (Ignazio di Latakia).
Nel corso della settimana si susseguono altre relazioni, celebrazioni liturgiche secondo i riti delle varie confessioni, (anche il rito dell’entrata nello shabbat guidato dai nostri “fratelli maggiori”), brevi ma significativi “pellegrinaggi” (a Rivotorto e alle basiliche di Santa Chiara e di San Francesco). Dall’ascolto si passa, in momenti ben definiti, allo studio o – per chi lo desidera - ai laboratori (di narrazione, di teatro e di cinema). Non mancano i gesti concreti, come il contributo al progetto ecumenico dei “corridoi umanitari” rivolto a mille persone che fuggono dalla guerra e dalla povertà condotto dai cattolici della comunità di Sant’Egidio e dagli evangelici italiani e la stesura di una dichiarazione sull’atto di violenza omicida avvenuto il 25 luglio nella chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray, in Francia in cui ha perso la vita il sacerdote padre Jacques Hamel.
Tradizione, memoria e profezia
Su questi aspetti si svolge una prima relazione della pastora battista di Milano Anna Maffei, che affronta il tema “tra attaccamento alle radici e apertura al futuro”, riflette sulla qualità del tempo che va distinta dalla temporalità. Citando Abraham J. Heschel ricorda che “non dovremmo parlare del fluire o trascorrere del tempo, ma del fluire o trascorrere dello spazio attraverso il tempo”. “Il presente è come il tempo in cui percepiamo la presenza del Dio che ci visita, in cui ogni incontro può divenire benedizione, il tempo in cui scegliamo le nostre priorità in risposta alla vocazione personale e collettiva che riceviamo”. Maffei si preoccupa di chiarire che questo presente “non è appiattimento nell'ottica consumistica oggi dominante, ma ha lo spessore della memoria delle storie della fede di chi ci ha preceduto e ha per orizzonte la speranza del compimento”. Ci parla quindi dell’origine della Tradizione: del racconto che consente la condivisione degli eventi, della meraviglia che viene generata e dell’azione dello Spirito ricordandoci con Luis Bunuel che “senza memoria la vita non sarebbe vita”.
Passa quindi a considerare la Riforma, il movimento storico di radicale rinnovamento della Chiesa che è stato ed è un movimento dello Spirito il quale crea e fa rinascere, feconda ciò che è desertificato. La tradizione biblica, deposito della memoria collettiva di un popolo, è costitutiva della fede ed è irrinunciabile e a cinque secoli dalla Riforma è compito ecumenico interrogarci insieme sul principio del Sola Scriptura senza arroccamenti identitari.
Infine, a proposito di profezia, la definisce parola di chi crede nella fedeltà di Dio, parola viva che richiama alla vita, rende possibile l'azione umanizzatrice dello Spirito Santo pur essendo parola spesso soffocata, ignorata, calpestata.
La riflessione è completata dall’intervento di uno psichiatra, il dott. Francesco Stoppa, che affronta il discorso della trasmissione da un punto di vista psicologico e sociologico soffermandosi in particolare sulle fasi dell’adolescenza e della vecchiaia, che rappresentano due diversi modi del profetizzare e che entrano in tensione reciproca nel “misterioso appuntamento tra le generazioni”. L’adolescenza è chiamata ad assicurare la forza propulsiva per mandare avanti il mondo, l’altra deve trovare una modalità a sua volta creativa – attraversata dal desiderio e non dalla rassegnazione – per cedere il testimone. In tutto questo gioca una parte essenziale la questione della paternità, non come elemento solo simbolico o normativo ma reale della trasmissione intergenerazionale.
Sul versante più propriamente teologico la prospettiva ortodossa a proposito della Tradizione, viene espressa dal teologo ortodosso Traian Valdman che parla di Tradizione con la T maiuscola in strettissimo rapporto con la Chiesa al punto che nessuna delle due può esistere senza l’altra ed entrambe vivono nello Spirito Santo. “ Se la Scrittura presenta Gesù Cristo e la sua opera salvifica, la Tradizione fa passare Cristo nella vita degli uomini mediante i sacramenti e la predicazione della Parola”. Valdman sottolinea come, pur essendo attualizzante, la Tradizione lega alle origini, al passato: ma dato che le situazioni storiche nelle quali vive la Chiesa mutano, la Tradizione è chiamata a dare indicazioni aggiornate ai sempre nuovi problemi che si pongono alla vita ecclesiale. Di fronte ai tanti problemi sorti a causa degli sconvolgimenti storici degli ultimi decenni, il santo e grande sinodo di Creta di quest’anno va letto come profezia. Pur non essendo panortodosso a causa dell’assenza di quattro Chiese, esso, secondo il relatore, ha confermato la scelta strategica di metodo fondamentale, quello appunto della sinodalità.
La teologa cattolica Lilia Sebastiani chiarisce che le realtà storiche e ideali di tradizione, riforma e profezia non si possono considerare “ aree ben recintate” come anche non si può accettare la definizione temporale che assegna alla tradizione il passato, alla riforma il presente, alla profezia il futuro; il vissuto di ogni autentica comunità di fede, in ogni tempo, piuttosto, è chiamato a partecipare di tutte e tre le dimensioni. I momenti aurorali della storia che ci ha condotti fin qui, possiamo leggerli come una compresenza di tradizione, riforma e profezia; si pensi all’ evento di Gesù, nel concreto della sua vicenda storica; alla santità extra-ordinaria di Francesco d’Assisi, libera, creativa, fedelissima; o a momenti di svolta nella storia quali il Vaticano II e il pontificato di Francesco, tuttora in cammino sotto il segno della misericordia di Dio.
Secondo il decano della Chiesa evangelica luterana in Italia Heiner Bludau, le diversità nelle Chiese stanno nella questione su come si deve concretizzare l’annuncio, e i concetti di tradizione, riforma, profezia costituiscono uno schema utile per giungere a un dialogo costruttivo su queste differenze. Esempi positivi, in ambito protestante, si possono considerare la Concordia di Leuenberg del 1973 e, nel dialogo con la Chiesa cattolica, il Consenso sulla dottrina della giustificazione del 1999, così come i documenti attuali sulla comune commemorazione del Giubileo della Riforma.
Assisi a 30 anni dall’incontro interreligioso: la profezia di un comune pregare
A trent’anni dalla preghiera interreligiosa convocata in Assisi il 27 ottobre 1986 grazie all’intuizione profetica di Papa Giovanni Paolo II, il secondo Convegno SAE nella terra della spiritualità francescana assume un grande significato simbolico. Con il saggista cattolico Brunetto Salvarani, la teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh e il politologo valdese Paolo Naso si fa memoria dell’Incontro delle Religioni per la Pace, si mettono a confronto i contesti di ieri e di oggi, si analizza quanto è avvenuto in questo arco di tempo e si ipotizza lo scenario del 2046,
Viene sottolineato, in particolare, dalla teologa musulmana quanto, oltre a pregare insieme cristiani e musulmani (per cui sono in atto alcune iniziative), sarebbe importante conoscersi maggiormente, costruire insieme, elaborare insieme nella verità e nella pazienza reciproca, soffrire insieme.
Anche Salvarani propone un cammino basato sul pensare, l’educare e il formare con l’obiettivo comune di rifare l’uomo nella sua dignità poiché la fede in Dio fallisce se non è fede nell’umanità. E papa Francesco nel suo viaggio all’isola di Lesbo ne ha offerto una dimostrazione concreta in senso ecumenico.
Riflettendo sul rapporto tra religioni e fanatismo e sul nuovo terrorismo religioso che ha raggiunto l’Europa, l’origine - secondo Paolo Naso - sarebbe da ricercare nell’ “islamizzazione del disagio” che in tempo di globalizzazione affligge gli emarginati di seconda generazione, mentre la presunta correità dei fedeli musulmani con il terrorismo non spiega il fenomeno, ma denuncia il nostro pregiudizio.
L’ecumenismo come profezia
In chiusura vi sono le parole sulla profezia di Enzo Bianchi che ricorda come, a partire da Gesù Cristo (“il profeta più che profeta”), questo dono è stato comunicato a tutto il popolo di Dio e che nel Nuovo Testamento la profezia è tra i carismi essenziali della Chiesa in cui il Signore suscita uomini e donne che vedono più lontano della comunità, consapevoli che la Chiesa non è il Regno di Dio e che il Regno di Dio che viene va atteso e predicato.
Ascoltiamo con interesse l’ultima riflessione, quella del prof. Paolo Ricca, teologo valdese, che delinea il ritratto del profeta (uomo solo, spesso osteggiato, perseguitato, che deve arrendersi a un destino difficile e amaro,..) e che si sofferma sul suo essere uomo disarmato in un mondo armato fino ai denti non solo con armi, ma anche con sentimenti di odio, con parole violente, assassine); egli spiega che il profeta è disarmato perché vuole disarmare l’uomo, perché lo vuole umanizzare. Secondo Ricca evangelizzare, in un tempo in cui il livello di disumanità dell’uomo cresce in maniera esponenziale (basti pensare alle grandi ingiustizie sociali, al terrorismo…), significa umanizzare. L’impegno ecumenico è visto come spirito di profezia essendo uno spirito “giovane” (la profezia è appena nata se la si confronta coi i mille anni di separazione tra Oriente ed Occidente e i 500 anni di separazione tra cattolici e protestanti nella chiesa di occidente), uno spirito che soffia quando si passa dalla disumanità all’umanità.
Illuminati da queste parole e stimolati a dal teologo Giovanni Cereti cui spetta il compito di fare sintesi, torniamo a casa con la conferma dell’idea che l’ecumenismo cammina e con pazienza porterà frutto. Ognuno di noi, oltre ai volti incontrati, alle esperienze vissute, porta nuove certezze. Sentiamo risuonare parole divenute più familiari; insieme all’eco della Parola e alle melodie dei canti ci accompagna soprattutto la volontà di rimetterci in azione non come maestri, ma come umili discepoli.
Cristina Vaghini